La ragazza del fiume

Le indagini dell’ispettore Pappalettere

 

di Carlo Maffei

 

In un paesino piemontese, dove il tempo pare imprigionato e le orchidee fioriscono inosservate, il corpo di una ragazza viene ritrovato nel greto di un fiume. Nessuno vede, probabilmente nessuno vuole parlare.

A occuparsi del caso è l’ispettore Fulgido Pappalettere che fugge dal cemento e da molto altro, trasferendosi in campagna con il cuore scassato, una Citroën DS special e Silvano, il suo divano.
Non cerca gloria, né vendetta. Vuole solo trovare il colpevole e fermare la lunga serie di sparizioni che stanno inquietando la provincia. Ma la verità, tra mariti ombrosi, adolescenti troppo sveglie, hacker redenti e allevatori sospetti, è una bestia difficile da acciuffare.
La ragazza del fiume è la prima indagine dell’ispettore Pappalettere: un noir denso di umanità, ironia e malinconia. Un’indagine che affonda nel fango e risale solo per respirare, prima di tornare giù, dove il silenzio pesa più della pioggia.
L’ispettore Pappalettere è appena arrivato, e la provincia ha ancora molti segreti da svelare.
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15,00 

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Ecco l’anteprima del romanzo

 

Il carrarmato in Vibram scivola sulla riva fangosa. Gianluca, alcolista part-time, ha un passo ciondolante e un completo da pescatore professionista. La testa è pesante, i pensieri traballano come il suo andamento. Un rigurgito aspro, al sapor di Sambuca, gli si ripropone prepotentemente. Oltre allo scorrere incessante dell’acqua: urla lontane, rumore di vetri che si frantumano. Un groviglio di ragazzotti, nella vicina piazzetta del paese, sghignazza contornato da bottiglie vuote. Non è né notte, né giorno, ma l’accolita è ancora troppo fuori per rientrare a casa.
Prima del ponte il greto si allarga, l’acqua rallenta, accarezzando dolcemente le rocce che affiorano timidamente. Radici d’alberi sporgono rampanti dalle sponde lisce mangiate dalla piena. Alcune foglie, trascinate dalla corrente, sembrano navi vichinghe in assetto da guerra.
Gianluca procede sul greto arrampicandosi e saltando rocce modellate dall’acqua e dal tempo. Indossa stivali verdi alti fino all’inguine, un gilet panna colmo di tasche e un cappellino rosso con l’effige della ditta edile in cui, saltuariamente, lavora. All’interno dello zaino: arnesi ed esche fatte di piume, costruite nelle lunghe, solitarie e noiose sere invernali.
Attorno a lui la luce è ancora flebile, il giorno pare stentare. Velocizza il passo, vuole arrivare prima che qualcuno lo veda.
Discende la riva arrivando sulla piccola spiaggetta dove d’estate i ragazzi fanno il bagno. Il vecchio e imponente ponte di pietra lo sovrasta. La spiaggia è colma di tronchi, rami e oggetti di tutti i tipi. Nel centro esatto della spiaggetta svetta la testa di una bambola a cui manca un occhio. Con lo stivale la tocca, la gira, con calcio esperto la scaraventa in acqua; affonda, riaffiora, galleggiando scompare oltre l’ansa.
Gianluca sale la scarpata fino ad arrivare sul ponte. Guarda in basso, una decina di trote nuotano lente e apparentemente senza meta. Riscende, cerca nella tasca destra l’esca adatta, l’attacca all’amo. Appoggia la schiena al parapetto e lancia a pochi metri da riva, attende. Il sole intanto sbuca da dietro le piante allungando l’ombra oltre al ponte.
Gira il mulinello e lancia un’altra volta verso l’ombra. Un primo strattone deciso cercando di far entrare l’amo ben dentro la carne dell’animale, rilascia e tira ancora. È un gioco che conosce bene, meglio del pesce che inconsapevolmente lascia che lo trascini verso la morte. L’animale dà un ultimo e inutile strattone, ma Gianluca ha già il retino in mano.
Con un gesto sapiente slama, si gira, si china, apre la cesta, mette il pesce che si dimena tenacemente, chiude il coperchio. Con la coda dell’occhio focalizza un’immagine, ma pare troppo forte per essere vera. Il suo cervello non vuole accettarla, torna alla sera precedente, ai ricordi confusi che gli sono rimasti. Si sfrega gli occhi, il naso e guarda ancora verso i rami ammucchiati dalla piena. L’immagine è reale. Gianluca si avvicina lentamente, quando gli è davanti, come aveva fatto prima con la testa della bambola, tocca con lo stivale l’alluce del piede che fuoriesce dai rami. È gonfio, sferico, bluastro. La leggera pressione sfalda l’unghia che si stacca e cade come la glassa di zucchero sopra a un panettone della Galup. Un conato lo fa piegare in avanti, stringe gli occhi finché non passa. Quando li riapre ha il viso del cadavere davanti. Gli occhi sono aperti, grigi come quelli delle trote quando le prende dal congelatore. Lo sguardo è ancora, e inutilmente, implorante. Indietreggia, gli gira la testa, vorrebbe fuggire, accontentarsi dell’unica trota, tornare a casa.
– Scusi monsù! Lo sa che non si pesca sotto i ponti? – Gianluca alza lo sguardo, riconosce l’amico.
– Ma vaffanculo Naldo! Vieni, scendi, c’è una morta! – l’anziano sul ponte ride.
– Caro giovanotto devi mollarla con la Sambuca…! Hai già le traveggole? – Gianluca prende un fascio di rami e lo toglie mostrando in parte il corpo.
Naldo scende la scarpata fin troppo velocemente per la sua età. Si avvicina stranito.
– Oh, signore benedetto! – urla l’anziano
– Cosa facciamo? – gli chiede Gianluca con le mani sulla testa.
– Cosa vuoi fare? Chiamiamo i carabinieri! –

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